sabato 19 luglio 2014

Stanze disordinate e vestiti larghi

La mia stanza è terribilmente disordinata. Dovrei pulirla, ma in fondo c'è sempre tempo per fare tutto. E intanto i giorni e l'estate passano, tra caldo diurno e frescura serale, tra i libri aperti sul tavolo e una finestra da cui sbirciare il mondo senza immergercisi troppo. I miei vestiti sono tutti enormi. Dovrei essere felice e mostrare il mio corpo dimagrito, comprare un paio di pantaloncini con le frange e alcune magliette strette e corte, ma ho ancora paura. Ma mi devo ancora abituare al fatto che non devo più coprire la pancia, le gambe grosse e il seno abbondante perché è volgare. Penso a quando realizzerò veramente che non sono più la stessa persona. Che dopo anni di diete stupide, frullati, proteine eccetera, ho capito che adesso, assieme a tutti quei chili ho abbandonato una reticenza mentale che avevo da anni. Che è bastato un clic nel cervello, un giorno, dopo anni di tentativi poco voluti e stimolati da gente che mi circondava dicendo che dopotutto nonostante i chiletti in più le curve sono un'altra cosa, e che ci hanno imposto l'anoressia ma non la vogliamo e ci hanno inculcato i valori sbagliati. Cavolate. Io non stavo bene. Quella zavorra mi ha ostacolato nell'adolescenza e in parte della giovinezza. Ha disseminato per anni smagliature e insicurezza. E ora, bam. E' tutto finito. Anzi, in un certo senso è solo l'inizio :)

martedì 22 aprile 2014

Tu, con il cuore nel fango

Perdonami, blog, se ti ho abbandonato.
Tante sere, distrutta dalla routine quotidiana, ho sentito la necessità di raccontarti cose che mi rendevano pesante. Ma la stanchezza mi ha sempre sopraffatto, e quindi niente, mi sono tenuta tutto per me.
In questi giorni Roma alterna giornate caldissime a piogge repentine e fastidiose. E' bellissima e disorganizzata e caotica come sempre, ma forse mi ci sto quasi affezionando. Penso sempre meno a trasferirmi all'estero. Con tanta fatica mi sono costruita una mezza stabilità fatta di volti, luoghi ed eventi amici. Mi sono adattata a quello che mi sembrava inadattabile, anche se sento comunque un sottile senso di inadeguatezza che in ogni caso si sta mischiando con tutto il resto ed è sempre meno percepibile. Penso ancora a come sarebbe la mia vita da qualche altra parte, ma non so come, mi sembra troppo tardi per ricominciare, o più semplicemente, attualmente non ne vedo il motivo. Mi vedevo già in Australia, in Francia o in Inghilterra, a fare l'ennesimo cervello in fuga con la nostalgia di lasagne, e invece in tutto il caos, la crisi e il nervosismo che talvolta mi provoca questo posto, posso dire di avere un mio posticino qui. Nella Città Eterna. A volte sento che i miei amici che si trasferiscono a Londra, Parigi o Bruxelles, e ovviamente li invidio perché due anni fa anch'io sono partita, per scoprire un'altra Europa che qui a Roma stentavo a riconoscere. Ma è come se non ne soffrissi più. Come se mi avessero anestetizzato e non facessi troppo caso alle cose brutte e rimanessi invece ogni giorno affascinata dalle tante, tante, tante cose belle che ci sono.
Chissà che succederà tra un anno.

martedì 18 marzo 2014

Lettera per un amore adolescenziale, il revival

Caro Marco,
oggi c'è un sole bellissimo che farebbe sorridere chiunque. Ho tempo di studiare un po' con calma e tranquillità e la cosa mi piace molto. A Milano che tempo fa? Tra un po' sarà il tuo compleanno. E tra crisi esistenziali, esami, aborti di tesi magistrali e amicizie ricompattate e ansiose di camminare ancora come prima, siamo giunti a metà marzo. Non ho più tue notizie da tre mesi, ma è la prassi, me l'aspettavo. Piuttosto ho un foglio di carta bianca e sto ancora procrastinando la stesura della tua lettera. Ci ho pensato tanto tanto, e devo dirti che forse c'è un altro ad occupare i miei pensieri, se non il cuore. Ti somiglia in maniera indecente! Quando ho incrociato il suo sguardo per la prima volta sono rimasta incollata ai suoi occhi per cinque secondi, e poi gli ho stretto la mano. Ha la tua stessa calma, il tuo stesso modo di guidare la macchina, la tua stessa barba e gli occhi dello stesso marrone profondo profondo. Fa tante domande, si piange spesso addosso, parla di matematica come fosse filosofia, e non si accorge, come non te ne accorgevi tu, di essere bellissimo. Bello in maniera esagerata e profonda anche con una camicia terribile e un taglio di capelli sbagliato, bello e rincuorante e timido come questo sole quasi primaverile. Bello più di qualsiasi altra cosa nella mia vita turbolenta e piena ogni giorno di inutili e martellanti domande. Ma come te, è tanto lontano. Non geograficamente. Sento il suo cuore troppo nascosto, o disinteressato, o altrove, o impossibile da raggiungere se non con un volo pindarico rischioso e prematuro. Come fai a mantenere sempre quella solita calma, in tutti i momenti? Pure quando eri rappresentante d'istituto e la preside ti urlò in faccia che eri un incompetente? Pure quando ti dissero, ad un concerto del tuo gruppo, che non sapevi suonare? Io non ce la faccio. Vorrei tutto e subito, e possibilmente che fosse tutto più bello di ogni immaginazione. Per ora me lo godo mentre riflette tutto assorto tra sé e sé pensando che nessuno lo guardi, e non si accorge della lavatrice di colorati misti che ho nello stomaco quando lo vedo. Che bello sentirla ancora che centrifuga, ogni tanto. Dà una certa speranza anche per tutto il resto, no?
Ti abbraccio. E forse non ti scriverò mai.

martedì 11 marzo 2014

Chi cerca trova?!

Mia madre mi ha sempre detto che chi cerca trova.
Così io ho sempre cercato curiosa qualsiasi cosa. Viaggi, progetti, concorsi, musica, lavoro.
Oggi mi sono resa conto che è proprio vero quello che scrivevo nel post precedente. Non finirò mai di arrabbiarmi. Perché per quanto tu possa cercare sempre con passione, per quanto tu possa essere mosso dall'amore in ogni tuo gesto, per quanto tu possa svegliarti cercando di disegnarti in testa una bella giornata piena di raggi di sole, ci sarà qualcosa che non andrà.
Partirai bene. Ti sveglierai mangiando il tuo dolce preferito per colazione e con un quarto d'ora di anticipo, cosa che ti permetterà di fare un giro veloce ma corroborante sui quotidiani online. Le notizie saranno pessime, ma farai finta di niente. Ti vestirai secondo l'ispirazione dell'ultima moda, che vuole ballerine di cartone borgogna, abbinate a stupidi jeans che si abbasseranno scomodamente ad ogni passo, abbinati a magliette sgargianti e aderenti che saranno prontamente ricoperte da cardigan pelosi per cause di vergogna e dignità. Poi toccherà allo studio e al lavoro, scoprirai che le tue duecentosettanta mail mandate per gli stage non sono state minimamente calcolate, che il "Le faremo sapere" si è ormai trasformato in un "Arrivederci e grazie". Farai del tuo meglio in ogni singola cosa, ma sentirai la forza di un macigno che ti ostacola in ogni mossa, e scoprirai che mentre tu ti ammazzi per amore della suddetta ricerca appassionata, ci saranno tue colleghe che vanno al bar a prendere un caffé e incontrano direttori di banche e direttori delle peggio istituzioni, pronti a farsi in quattro per aiutare una bella signorina, e altri colleghi che manderanno un (un!) curriculum e verranno presi. E non parliamo di raccomandazioni. Né di maschilismo. Perché evidentemente non ci sono. E' tutta una fottuta questione di FOR-TU-NA.
Bref. Chi cerca non è detto che trovi, anzi chi non cerca in genere ha più culo.

mercoledì 19 febbraio 2014

Non finirò mai di arrabbiarmi

Quindi, sì, la situazione attuale mi fa rabbrividire. Penso a quanto voglia andarmene da qui ed azzerare tutto, ma mi rendo conto che non è così che si fa. Andrei da qualche altra parte all'estero e per un po' andrebbe meglio, e poi inizierei ad arrabbiarmi per altre cose. Il problema è che non smetterò mai di prendermela, non riesco a darmi pace, l'equilibrio sembra una cosa davvero lontanissima. Non capisco da dove si tiri fuori la serenità. Di cosa sia fatta esattamente. Forse non lo saprò mai. Sì, lo so, continuo a ripetere le stesse cose. Passo tantissimo tempo con me stessa, a pensare, a riflettere, per cercare di capire almeno su di me dov'è la falla, su cosa devo lavorare. E per un po', ogni tanto, scopro l'arcano. Di volta in volta il problema è che passo troppo tempo sui libri, che mangio male, che mi curo poco, che ho dei chili di troppo, che non faccio abbastanza movimento, che curo poco le relazioni con gli altri, che non sono costante. E la verità è, con mio rammarico, che più cerco di risolvere, spesso riuscendoci, queste mancanze, e più manca sempre qualcos'altro. Tutto ciò non è altro che una scusa. Ci sarà sempre altro da fare, altro da fare meglio, altro che soggetti che non se lo meritano minimamente avranno. E questo non mi andrà mai giù. Spero sempre che alla fine della giostra le persone coerenti, le persone che guardano con amore, le persone appassionate, le persone che ancora arrossiscono, le persone che amano davvero, saranno ricompensate. Su questa speranza mi rendo conto di basare spesso i principi della mia intera esistenza, il che è parecchio pericoloso, mi rendo conto anche di questo. So già che sarò tradita dal mio stesso destino e che continuerò a vedere cose che non voglio vedere. In questa città o in un'altra, in Italia o all'estero, dovunque e sempre; nelle piccole cose e nella politica, nelle relazioni o al supermercato. Nessuno mi ricompenserà mai per l'ardita speranza, a nessuno interesserà mai davvero la mia stanza, con le sue poesie appiccicate al muro e i libri sparpagliati ovunque. Nessuno più considererà l'importanza dei secondi, del linguaggio del corpo o degli oroscopi favorevoli. Bref. Non finirò mai di arrabbiarmi.

martedì 11 febbraio 2014

Cronache di una giornata- nongiornata senza Rete

Oggi ho fatto fuori due pacchi di patatine al lime e pepe rosa. Sono davvero un’indegna. Le avevo prese “per gli ospiti” o “per accompagnarli ad UNA birra, prossimamente”. Certo, come no. Dimenticavo che in casa c’era in atto un autentico disastro planetario. Un vuoto incolmabile. Una tragedia. Data, in definitiva, dalla mancanza di malvagie onde wi-fi sparpagliate per il corridoio. In parole meno poetiche ma più di sostanza, mancava internet. Il fattaccio, il momento di rottura con la Rete, insomma, era avvenuto mentre studiavo mattamente e disperatamente in camera e iniziavo a ridere tutt’a un tratto pensando all’ennesima imbecillata da mandare in giro per il web, tramite mezzi rapidi e tecnologici. Così scoprivo, mio malgrado, che il mio innovativo cellulare non rispondeva alla Rete, e tantomeno il più vetusto computer. Dunque mi avvicinavo alla scatola con le lucine (neologismo che avrebbe poi avuto modo di ultilizzare la signorina del call center, per indicarmi il modem) e con orrore realizzavo che era senza vita. Senza il barlume di una speranza o di una lucina, verde o rossa che fosse. Iniziava una lunga tiritera di telefonate, staccamento e attaccamento di cavi, connessioni lente e timide tramite l’unico aggeggio in casa disposto a concedere un po’ di Rete, il suddetto tecnologicissimo cellulare.
Improvvisamente Internet diventa vitale. Vitale ascoltare il nuovo singolo dei Pearl Jam. Vitale leggere come si aprono i vasetti dei pelati senza usare l’apriscatole. Vitale cercare parole improbabili in inglese. Panico, angoscia, paura. Sguardi nervosi in giro per la casa. Tensione che si taglia col coltello. In sottofondo una terribile Total Eclypse of My Heart pescata nei meandri di vecchie compilation, a rendere il tutto ancora più assurdo. E poi, finalmente, arriva Errico. Il tecnico! Ah! Sostituendo il modem in pensione con uno nuovo, riporta l’armonia, la gioia e le onde wi-fi in questa casa. Allontanando l’eventualità di passare altre giornate senza avere la concentrazione di fare niente, mangiando patatine come se non ci fosse un domani, pensando a tutte le cose belle da aggiornare, controllare e scaricare. Bref. Siamo tutti troppo malati di Rete.  

giovedì 6 febbraio 2014

Lettera mai consegnata per un amore adolescenziale ma neanche troppo

Caro Marco,
prima di uscire, l’altra sera, ti ho pensato per un attimo mentre mi preparavo. Ho pensato che non ci rivedevamo da qualcosa come due o tre anni, che tante volte avevo parlato di te nei miei racconti, che tante volte ti avevo ricordato tra le note di qualche canzone e in qualche conversazione lontana lontana da te. Ti avevo visto per l'ultima volta nell'aprile di uno stranissimo 2011: ero rimasta a guardarti andare via, soffermandomi sulla tua sagoma che avrei riconosciuto tra altre mille, e mai avrei pensato che avrei dovuto aspettare due anni e mezzo prima di rivederti di nuovo. Sono successe tante, tante cose in tutti questi mesi. Ho viaggiato. Ho suonato. Ho conosciuto. Ma ho amato poco, anzi quasi niente, e si sente. 
Tu che stai facendo? Mi piacerebbe tanto saperlo. Che so, leggere qualche tua poesia, sapere quando l’hai scritta, sapere che hai combinato in tutto questo tempo e se ti sono venuta mai in mente. Ho ascoltato qualche canzone del tuo nuovo gruppo, veramente niente male. Sono capitata una volta a Milano, che è ormai la tua città. Mi era quasi venuto in mente di chiamarti ma l’idea mi è passata subito di mente. Forse non avresti voluto incontrarmi per via della tua solita lascività, e mi sarebbe dispiaciuto. Inoltre non avevo più il tuo numero e non mi andava di chiederlo in giro. Però mentre camminavo per la città ti ho pensato tante, tante volte, ripensavo alle cose che mi avevi detto su Milano ed era come se in piccolissima parte l’avessi già vista, tramite i tuoi occhi. In ogni posto mi guardavo intorno e mi chiedevo a quanti metri o chilometri eri da me in quel momento. Evidentemente troppi perché non ci siamo mai incrociati. Ora sto ascoltando un pezzo anni cinquanta di Jerry Lee Lewis. Sai dove vorrei trovarmi in questo momento, e dove mi trovo se solo chiudo gli occhi? Al ballo del liceo. Ma che meraviglia che era, ti ricordi? Ricordo la tua macchina nel pomeriggio stipata di birre; tu, splendido in occhiali da sole e camicia hawaiana. E poi mi ricordo della tua chitarra blu, della sera in cui ti aspettai davanti al pub senza vederti comparire, delle mattine in cui cercavo la tua macchina nel parcheggio della scuola, dei miei orecchini neri che ti piacevano, di quando ti feci ascoltare i Cure per la prima volta.
E poi l'altra sera, dopo circa trenta mesi senza di te, mi sei comparso davanti.

-Marco!-
-Oh.. Ciao-.

Imbarazzo, emozione, fibrillazione, sentimento, amore, amore, amore. Perché eravamo così tesi, così impacciati, così sempre uguali dopo tutto questo tempo, Marco? Io non lo so. So solo che spero di rincontrarti. Ma non una volta. Cento, mille. Diecimila. Sempre.